Dylan Dog 414 – Giochi Innocenti

La propaganda coloniale ottocentesca necessitava di una base filosofica, nel tentativo di nobilitare o, meglio, di legittimare un atto di barbarie – molto meno barbaro, tra l’altro, agli occhi dei contemporanei. Quell’insieme di precetti ideologici posticci necessitava di un nome; l’etichetta assegnatagli fu: occidentalismo. Come riempire la categoria, poi, è una storia di grande lavorio, facendo man bassa di tradizioni culturali che molto poco hanno in comune: illuminismo, cristianesimo, classicismi vari. 

Dopo di che, compiuta la fatica, ci siamo ritrovati bello, pronto e ragionato l’ammucchio di principi da contrapporre al tanto poco accurato contraltare esotico: l’orientalismo.

Un elemento, però, emerge in quanto comune, pregno e caratteristico: immaginandoci come automi, la nostra programmazione sarebbe basata su un sistema binario che ci imporrebbe condotte di vita lineari. Proprio in senso geometrico, la vita – in occidente – è sintetizzabile, graficamente, come una linea. 

I più nichilisti la leggeranno come un segmento, mentre chi si è convinto di una vita ultraterrena vedrà una semiretta, – forse i più arditi anche una retta -, ma, in ogni caso, il tratto grafico-filosofico che ci ritrae in modo migliore è una linea.

Nasciamo, accumuliamo, compriamo, consumiamo, se rimane tempo ci riproduciamo, prolunghiamo il più possibile la nostra agonia grazie alla scienza medica, moriamo. Punto.

Penserete che il vostro umile narratore sia partito per la tangente, tanto per rimanere nell’ambito delle metafore geometriche. 

Invece no, nel senso che anche le opere del nostro intelletto, raramente si discostano da una rappresentazione lineare. Dalla fabula alla retorica ciceroniana. Una storia nasce, con un esordio, si evolve, con uno svolgimento, e muore, con una conclusione. Solo recentemente spezzettiamo, mischiamo, avvolgiamo, aggomitoliamo le vicende. Insomma, ci lasciamo andare a varianti sul tema, figlie della contaminazione filosofico-culturale derivante dal mondo globalizzato e dalla facilità di reperire informazioni.

La lunga premessa, si innesta perfettamente nell’humus narrativo creato da Paola Barbato e dal suo stile di scrittura. Il nuovo albo di Dylan Dog – il numero 414 – infatti, sembra esordire con una trama lineare, per poi esplodere in mille rivoli paralleli, in un groviglio di imput e sollecitazioni per il lettore. “Narrazione per detonazione” potremmo chiamarla.

Attenzione, rimarrete fisicamente incolumi, l’albo non vi esploderà tra le mani. Tuttavia verrete investiti da una profonda ondata di riflessioni indotte: basti pensare all’infinito atto di autoerotismo mentale con cui ho avviato la recensione.

Nello specifico, ricollegandoci ciclicamente ai luoghi da cui siamo partiti, se l’uomo – occidentale – è una linea, non vedo come – e perché – dovrebbe essere altrettanto lineare quello che umano non è. Il sovrannaturale, l’oltreumano, il sovrumano è, per l’appunto, almeno nella visione di Paola Barbato, caotico. 

Dove caotico non significa confusionario, ma regolato da norme non intellegibili sotto il filtro dei canoni, degli strumenti e dell’intelletto umano. Abbracciando pienamente questo corollario, l’altrove o il non-umano non necessitano di ulteriori spiegazioni. 

Questo (dis)ordine demoniaco popola un luogo non definito, cui si accede per mezzo di un parco giochi abbandonato, spazio in cui colleziona bambini felici. Infanti in quanto malleabili, plasmabili, vergini e, di conseguenza,conseguenza, a poco a poco, tramutabili  in demoni. Non a caso è corretto parlare di trasmutazione anziché di corruzione, in quanto i bambini abbracciano con piacere o – quantomeno – senza vera coscienza il nuovo gioco perenne, per quanto l’attività ludica consista nel dare nocumento alle anime dannate. 

Questo stato di incoscienza o “non coscienza” è garantito dall’incapacità di riconoscere e distinguere il bene dal male, poiché, prima della perdita dell’innocenza, bene e male si somigliano o, comunque, non sono comportamenti dolosi. 

Anche i demoni, peraltro – spezzando una lancia in loro favore – sembrano semplicemente rivestire una funzione sociale, sintetizzabile nel “sono solo affari”, se volessimo attingere alle frasi fatte del cinema. Più nel dettaglio, non c’è godimento nel perseguitare le anime, ma solo l’accettazione, magari anche senza disperazione, del proprio ruolo “nei mondi”. 

Ora, come mai i quadri infernali apprezzino i bambini è chiaro. Verrebbe anche da chiedersi perché proprio “felici”. Anche in questo contesto la risposta è tanto semplice da risultare candida. 

Genuinamente perché i bambini felici danno sollievo, sono più affascinanti e divertenti. Insomma, schegge di infanzia che alleggeriscono i cuori di chi vive nel dolore. Una sorta di adozione, di cui i demoni tengono a sottolineare la biunivocità. Infatti, anche gli umani dediti alle arti magiche (santoni, stregoni, maghi, streghe, negromanti) spesso si accompagnano ad un famiglio, fosse solo come spirito da compagnia.

Sullo sfondo, l’albo ci permette di conoscere uno stralcio della vita di Rania, attribuendo maggiore spessore e profondità, profondità non solo al personaggio ma anche al rapporto con Dylan, fornendo un risultato simile ad una amorevole malinconia che ancora lega i due.

Infine, una menzione al merito ai disegni di Paolo Martinello che concedono volume, fisicità e tridimensionalità ai personaggi, senza mai rifugiarsi nel realismo estremo, mantenendo uno stile personale e riconoscibile. Capacità che si declina anche in tema demoniaco, in quanto ogni essere soprannaturale possiede una propria autonoma identità grafica, ancor più pregevole quando delle schiere infernali ci viene concessa una visione di gruppo, dalle suggestioni legate ai gironi danteschi.

In definitiva, anche i demoni hanno un’anima (sperando che non sia la nostra).

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