La ristrutturazione dei sentimenti

Paco Roca è una bella persona.
Posso permettermi di dirlo perché l’ho osservato per ore al “Salone del libro” dare ascolto a miriadi di appassionati fastidiosi ed invadenti (ovviamente io ero il primo di loro) che lo spremevano fino allo sfinimento per autografare e disegnare infinite copie dei suoi volumi. E lui, fresco come una rosa e senza cedimenti, ha dispensato ad ognuno di loro (di noi) non solo l’agognato trofeo cartaceo ma anche un sorriso e due parole, compatibilmente con le difficoltà linguistiche. Io mi sarei arreso molto prima, fuggendo o – peggio – rivoltandomi contro il mio pubblico.


E quindi già per questo meriterebbe la nomina a santo o quantomeno a beato… in realtà però si capisce che è una bella persona soprattutto da quello che scrive e disegna.


Un tratto che da subito mi ha colpito per la sua apparente semplicità, molto classico nel suo modo di usare una linea semplice e pulita con un uso delle vignette e delle tavole tradizionale ma che sa stupire in alcuni momenti con scelte ovviamente mai esagerate ma comunque innovative e molto interessanti nella loro espressività. In ognuno dei suoi libri ricordo di aver trovato all’improvviso una vignetta spiazzante nella sua classica semplicità ed al tempo stesso nell’imprevista impostazione e ritengo questa sua capacità di introdurre elementi nuovi e creativi – in una cornice solo apparentemente tradizionale – una qualità eccelsa per un autore.


Nell’attesa di scambiare con lui due veloci parole ho anche pensato a quale libro maggiormente mi sia rimasto impresso e, dopo una non troppo breve riflessione, “La casa” si è imposta – anche se di poco – sulle altre sue opere.

Roca è da sempre un autore legato al tema del ricordo, della memoria; in tutti i suoi volumi la narrazione prende spunto dall’analisi del tempo che passa riuscendo però a rendere universale l’argomento pur partendo da singoli particolari molto personali. E’ così con il tema dell’Alzheimer in “Rughe”, con quello della guerra ne “I solchi del destino” e qui con la morte del padre che da tema estremamente intimo diviene discorso a tutti comune sul valore dell’eredità, spirituale più che concreta, da lasciare a chi ci sopravvive.


Che non si tratti di una storia finita lo si può capire già dalle tavole iniziali in cui la scena si svolge sempre nello stesso luogo, l’ingresso di quella casa che il titolo ci indica come protagonista di tutta la vicenda; un ingresso che il padre chiude un’ultima volta e che poi a distanza di una sola tavola – ma di più di un anno in senso temporale – viene a fatica riaperto da uno dei figli (alter ego dell’autore). Si è messi di fronte ad un ciclo di morte e rinascita continuo, quasi simile a quello delle stagioni che verrà poi ancora suggerito nelle vignette che raccontano il percorso medico dell’anziano genitore; in questo modo si può vedere da subito un messaggio tutto sommato consolatorio che ci sussurra all’orecchio come tutto quello che sta succedendo sia in un certo qual modo inevitabile, giusto e naturale.


Molto mi ha colpito il simbolismo, ovviamente ben noto, legato all’acqua che imbibisce (perdonatemi ma il termine non potrebbe essere più calzante) tutto il racconto. Dal tubo per innaffiare l’orto che a poco a poco esaurisce il suo getto alle pozze dovute alle perdite nel bagno o nella piscina, dalla canna tenuta ferma in ogni modo per bagnare gli alberi fino al bidone riempito per dare ai bambini un poco di refrigerio estivo, in tutto il fumetto l’acqua è presente come portatrice di novità e di vita anche se spesso costringe a superare ostacoli inattesi ed ad affrontare peripezie intricate, proprio come il tubo di gomma che tanti problemi crea a José.


A ben guardare tutta la narrazione è fatta da un bilanciamento quasi perfetto tra la parte grafica e quella narrativa anche se improvvisamente si impongono delle vignette prive di testo ma in cui i silenzi e gli atteggiamenti dei protagonisti dicono molto più delle parole. Sono momenti in cui si percepisce maggiormente la presenza del padre – vivo o morto che sia – e dell’impronta che con il suo modo di essere ha lasciata negli altri; si può quasi dire che questa figura parli più con i silenzi e le azioni che con le frasi diversamente da quanto facciano invece i suoi figli.


Graficamente il modo pulito e semplice di disegnare di Roca ha uno sviluppo estremamente cinematografico in questo graphic novel; si assiste frequentemente ad un passaggio repentino da un piano narrativo ad un altro sia dal punto di vista temporale che da quello del soggetto descritto. Si tratta di livelli di narrazione sovrapposti e che vengono evidenziati in modo sottile anche da una variazione, a volte davvero percepibile solo a livello subliminale e che diventa evidente solo dopo qualche vignetta, nella colorazione e nella luminosità delle immagini.

Peraltro in tutto il fumetto domina un effetto di luce molto soffusa, quasi seppiata con una luminosità bassa ovviamente molto adatta ed evocativa per quello che riguarda il racconto del passato e che tanto fa pensare alle fotografie dei nostri genitori ma che rende anche molto bene il senso di un presente che non è per nulla allegro né splendente.


Poco sopra accennavo a vignette particolari ed inaspettate e ne “La casa” due soprattutto saltano agli occhi: la prima, citata anche nella bella postfazione, è quella che lega il bidone dei rifiuti ai ricordi che vengono buttati insieme agli oggetti ad essi legati e la seconda, per certi versi concettualmente simile, riguarda l’albero tagliato i cui segni di crescita si collegano agli avvenimenti della famiglia. Due disegni inseriti quasi fuori contesto (infatti non sono delimitati dai confini della vignetta) ma che fanno quasi da voce narrante fuori campo.

In un certo senso anche tutto l’impegno per il restauro della casa da parte dei tre fratelli funge da stimolo e suona come metafora del lavoro di ricostruzione del loro rapporto sia con sé stessi sia nei confronti gli uni degli altri; nelle pause delle pulizie arriveranno a chiarire i numerosi “non detti” che li riguardano personalmente ed a scoprirsi più uniti e vicini di quanto si reputassero prima.


La tavola conclusiva con il suo scivolare da un piano temporale precedente a quello attuale lascia anche aperto un terzo momento, quello del futuro e della continuazione della vita, immaginando un destino migliore per quella pianta di fico coltivata dal padre defunto ma portata via dal suo amico proprio per regalarle la possibilità di prosperare; è questo un messaggio che vede il ricordo come mezzo di continuazione della vita per il ricordato ma anche come stimolo a non arrendersi per colui che ha il compito di mantenere la memoria del passato.

Alla fine se fossi più intelligente avrei potuto capire tutto il senso di questo lavoro già dalla copertina… c’è il tubo verde dell’acqua che ci ricorda la vita che scorre e che rappresenta nelle mani di José/Paco l’insegnamento paterno utile ad innaffiare l’albero che simboleggia il futuro, ci sono i sacchi pieni di ciò che non serve più e deve essere buttato via e ci sono i mattoni per costruire il resto della storia.


No, non si può proprio dire che Roca sia un autore banale, in ogni suo lavoro dolcezza, sensibilità e poesia si uniscono a sentimenti altrettanto forti come il rimpianto ed il rimorso ma senza mai dimenticare di lasciare una, seppur malinconica, nota di speranza.


Tutti purtroppo prima o poi ci troveremo nella situazione di Josè e dei suoi fratelli e dovremo liberare una casa piena di ricordi… quando è successo a me il percorso non è stato dissimile da quello raccontato da Paco Roca con la sua struggente ed appunto malinconica forza; auguro davvero a tutti i visitatori di quella loro personalissima casa di ritrovarvi dentro, oltre alle infinite quantità di cianfrusaglie da buttare via anche i mattoni con cui costruire il proprio cammino futuro.

A Laura e Nino ed a quel caos meravigliosamente irrisolvibile che sono stati.

Recensione de Il candido Umberto

Titolo: “La casa” Autore: Paco Roca Editore: Tunuè Prezzo: 16,90 euro

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