Quel diavolo di mister Punch

Amo Neil Gaiman.

Inevitabilmente, ogniqualvolta mi imbatto in una sua sceneggiatura, mi ritrovo completamente rapito dalla inebriante leggerezza ed al contempo spaventosa profondità del suo narrato. 

Mondadori nel 2005 ha pubblicato in Italia “La commedia tragica o la tragedia comica di Mr. Punch” scritto da Gaiman e disegnato da Dave Mc Kean ma la mia colpevole pigrizia mi ha fatto recuperare questo piccolo gioiello solo a vent’anni di distanza; è meravigliosamente innegabile che questa storia sia di una bellezzasenza tempo, collocata come tutti i racconti del suo autore in una contemporaneità eterna.

Approcciarsi ai mondi immaginati da Gaiman e realizzati da Mc Kean è sempre un’esperienza impegnativa ed a tratti dolorosamente disturbante che però regala senza dubbio emozioni forti ed infiniti spunti di riflessione non necessariamente negativi come le atmosfere raccontate.

Immediatamente non appena ho iniziato a sfogliare il volume mi ha avvolto un senso di smarrimento e di malinconica tristezza che sembra trasudare non solo dalle illustrazioni del disegnatore inglese ma anche dalle parole scritte dallo sceneggiatore di Portsmouth che nonostante raccontino semplicemente di ricordi di gioventù trasmettono un disagio che pare legato quasi al crescere ed alla vita stessa.

Una storia che parla di vacanze di un bambino, di segreti di famiglia, di peccati e di colpe – forse da espiare -e che, proprio perché tanto comuni, è in grado di riportare ognuno di noi a quelle sensazioni provate almeno una volta nella vita; credo infatti che tutte le persone abbiano un’esistenza costellata di avventure, drammi ed appunto segreti e che siano proprio queste cose – o meglio il modo in cui reagiamo ad esse – a fare di noi ciò che siamo.

Gaiman è come sempre un maestro nel parlare di qualsiasi argomento riguardante la nostra essenza più profonda mentre sembra raccontarci di tutt’altre cose ed infatti ad ogni rilettura di questo graphic novel – e vi assicuro che ne ho fatte davvero tante – scopro nuovi punti di vista o mi trovo aripensare a quello che credevo di aver capito, ribaltando completamente le precedenti conclusioni… la grandezza dell’autore inglese è davvero tutta nell’incredibile capacità di portarti a riflettere sui massimi sistemi partendo, ad esempio, da un racconto di burattini.

A tratti, leggendo, mi sembrava di perdermi non solo nelle tavole ipnotiche ed oniriche di Mc Kean ma anche nel racconto della storia fatto attraverso gli occhi di un ragazzino – di un uomo che si ricorda di quando era ragazzo – e forte in me cresceva la sensazione quasi sussurrata di trovarmi di fronte a qualcosa di incomprensibile; forse però questa difficoltà nel capire è la stessa che ha chiunque di fronte all’inevitabilità del crescere ed anche questo è una delle chiavi di lettura del racconto.

L’atmosfera evocata dai due artisti si mostra già dalle prime pagine claustrofobica e cupa ma venata da una certa malinconia mescolata ad una strana dolcezza: ci troviamo a condividere i ricordi di un bambino legati su più piani di narrazione alla storia di burattini di Mister Punch, tradizionale racconto tipico dell’Inghilterra del secolo scorso e protagonista di numerosissime rappresentazioni e citazioni in ogni forma comunicativa. A questo proposito ricordo di aver visto immagini della marionettaprotagonista del racconto in diverse trasmissioni televisive e film ed anche di averla letta citata in molti libri e fumetti stessi (anche ad esempio in un Dylan Dog Old Boy di non troppo tempo fa) a riprova che tale figura ben si adatta a rimandare ad altre forme di comunicazione le riflessioni ed i pensieri suscitati dalle sue avventure.

Come sempre quando si ha a che fare con le opere di Gaiman già dalle prime pagine ci si trova in un’ambientazione costantemente in bilico tra il mondo reale e quello magico; a volte nei racconti dell’inglese in questi universi fiabeschi i bambini trovano un inaspettato appoggio ed un luogo dove realizzare a pieno le proprie peculiarità ma nelle sue creazioni migliori – penso a Sandman ed inevitabilmente anche a questo volume – i giovani protagonisti vivono una condizione di assoluta estraneità ad entrambi i mondi: considerati come inferiori dagli adulti con i quali devono rapportarsi ogni giorno, sono esclusi anche dal piano fantastico poiché ritenuti appartenenti ad una vita troppo differente ed inconciliabile con le caratteristiche dell’universo magico. Il senso di malinconica sofferenza e di rassegnata solitudine del ragazzo ora adulto che rievoca il suo passato trasmette un messaggio di accettazione stoica della propria condizione che sembra quasi sottintendere che all’inevitabile crescita fisiologica dei bambini debba corrispondere una corruzione, fisica e spirituale, che non permette redenzione ma forse solo mesta consapevolezza.

A questa profondità di sceneggiatura corrisponde un altrettanto elevato livello di rappresentazione grafica: Dave Mc Kean, quasi costante compagno di lavoro di Gaiman, è autore adattissimo a mettere su carta i mondi fisici e psicologici dell’amico sceneggiatore. Il suo disegno, volutamente distorto ed evocativo, è perfetto per raccontare la fantastica distorsione che il racconto vuole trasmettere. Il tratto, spesso e spigoloso, con cui il disegnatore rappresenta i volti dei personaggi contribuisce a trasmettere un pensiero di fredda separazione tra uomo e mondo che lo circonda mentre le scene in cui compaiono i burattini sono simili a “collages” di immagini fotografate, quasi ad ulteriore conferma di un racconto in cui vari piani e livelli si sovrappongono uno all’altro senza mai realmente compenetrarsi né tantomeno amalgamarsi.

Meravigliose, tra le tante, sono alcune tavole dove le vignette stesse paiono sgomitare per prendere il posto in primo piano, giocando con numerosi e differenti punti di vista, in immagini che sfidano – quando non vìolano addirittura – le leggi della prospettiva. E così molto particolari sono anche le molteplici e differenti espressioni dei volti che appaiono costantemente deformati dalle emozioni che vogliono esprimere quasi fossero maschere di cera deformabili a piacere e secondo i sentimenti del momento. Tutto questo certamente genera un profondo senso di disagio che però arricchisce il valore dell’opera e neppur minimamente ne intacca il valore artistico.

Non è difficile vedere tra le ispirazioni delle tavole di Mc Kean i quadri di Modigliani con le sue donne dal lungo collo e dagli occhi bianchi od il Picasso cubista con il prevalere dei volumi sui colori, senza dimenticare il metafisico De Chirico; anche in questa vasta lista di citazioni trovo facile rinvenire un valore aggiunto di questo racconto che quasi ad ogni pagina regala citazioni e motivi validi per approfondire non solo riflessioni personali ma anche ricerche culturali che mai male possono fare.

Sempre a Mc Kean sono dovuti gli aspetti cromatici dei disegni. Innegabilmente una storia così particolare non può che affidarsi atonalità cupe e fredde con una netta prevalenza di colori come il rosso, il nero, il giallo in tutte le sue sfumature più scure; sono tinte che trasmettono una forte sensazione di tristezza e di immobilità, quasi a dimostrare anche a livello pittorico l’impossibilità di un’evoluzione verso il meglio.

Rare sono le vignette dove si vede l’azzurro, il blu od anche il verde, colori sicuramente meno aggressivi e più rilassanti – e rilassati – ma anche laddove queste tonalità sono presenti, lo sono in sfumature fredde e per nulla avvolgenti: insisto nel dire che ben poco di rassicurante e confortante ho trovato in questo graphic novel e tutti gli aspetti elencati contribuiscono a dar peso a tale impressione.

Tra i tanti passaggi di questo volume che mi hanno spinto a leggerlo più e più volte ed a rimuginarci un bel po’ sopra c’è sicuramente quello in cui si parla degli spettacoli di Mr. Punch come di una “recita di minuscoli pupazzi nella nostra testa”. Mi è venuto spontaneo associare questa definizione a quella dei ricordi, argomento appunto del racconto, e mi sono trovato però a pensare che forse tutto quello che ho letto altro non sia che un’invenzione, una creazione della mente di un bambino che ha poi trasformato in realtà (soggettiva) il frutto della sua testa… non che questo modifichi minimamente il senso della storia ed anzi mi piace vederci un’ulteriore possibile interpretazione di tutto il narrato. Ad ogni nuova lettura corrisponde una nuova riflessione, come in tutte le migliori creazioni dei due inglesi e dei grandi artisti in generale.

Ed infine mi ha commosso una piccola e quasi nascosta considerazione sul finire del volume, quando viene raccontata l’ultima uscita delle tre generazioni – nonno, padre e figlio – che vanno a prendere un dolce da consumare sulla fredda spiaggia invernale: finiti i gelati gettano via i bastoncini e riaccompagnano il nonno all’ospedale. “Erano Cuori (nome del gelato, evidentemente): non si trovano più.”. Questa conclusione della voce narrante, con tutto il suo fardello di significati che si porta dietro, mi ha letteralmente straziato, soprattutto in virtù del fatto che non è conclusione definitiva del racconto che infatti prosegue per poche altre tavole ancora più cupe e non particolarmentebeneauguranti.

Già dai tempi di “Non lasciarmi” capolavoro letterario (e cinematografico) di Kazuo Ishiguro sapevo di non potermi aspettare niente di felice dalle spiagge inglesi e quindi aver iniziato la lettura di questo volume con scene ambientate proprio sulla sabbia desolata del litorale di Southsea avrebbe dovuto farmi capire di non trovarmi davanti ad un fumetto rassicurante… eppure proprio come il bambino – poi adulto – protagonista non riesco a fare a meno di ritornare spesso, e comunque sempre timoroso e tremante, ad assistere a “La commedia tragica o la tragedia comica di Mr. Punch” forse proprio perché ogni volta ci vedo un diverso riflesso di quella che è anche la vita, la mia e probabilmente quella di tutti.

Ecco perché io… amo Neil Gaiman (ripartire dall’incipit, se si vuole).

Recensione de Il candido Umberto

La commedia tragica o la tragica commedia di Mr. Punch          N.Gaiman, D. Mc Kean    Mondadori   16,00 Euro

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