Un disco vecchio dei Pearl Jam sulla fine del mondo

Descrivere le emozioni che si provano giocando all’ultima fatica di Nuaghty Dog non è facile. Non dopo tutto il putiferio mediatico,  i nevrotici del politically correct e le meste faccende da Microslaves.  

E credo che quando ti ritrovi a pensare alle vite dei due personaggi, non alla difficoltà dei livelli ed alla loro realizzazione, ma proprio a come i silenzi, gli sguardi profondi, i sospiri, traducano in un’opera d’arte il gran casino di essere umani, allora chi a quella storia ha infuso energia ha già vinto tutto.  

Non lo è, ma non mi interessano le cose facili, altrimenti non mi sarei deciso a cimentarmi con questo titolo nutrendo una quasi naturale avversione per gli stealth games. In effetti mi ero già provato anni fa col primo, fallendo miseramente. Nella fase iniziale c’era un livello ambientato in una stazione della metropolitana buia ed affollata di Clicker. Non avevo retto. Malgrado uno tra gli incipit più strazianti di sempre,  non faceva per me. Una generazione di console più tardi ed una serie di preview all’E3, quando l’E3 significava ancora qualcosa, hanno risvegliato l’attenzione. La versione remastered  mi ha fatto capire quanto una PS5 retrocompatibile con tutte le generazioni passate non sia poi una grande idea (lasciamoli nella memoria certi capolavori!). Ma intanto ero di nuovo al fianco a Joel ed Ellie. Sempre più convinto che l’epilogo della prima parte avrebbe anche significato l’ultima cavalcata di Joel e la consacrazione di Ellie. Il viaggio on the road era evocativo, profondo, il legame empatico con i due personaggi cresceva di capitolo in capitolo. E credo che quando ti ritrovi a pensare alle vite dei due personaggi, non alla difficoltà dei livelli ed alla loro realizzazione, ma proprio a come i silenzi, gli sguardi profondi, i sospiri, traducano in un’opera d’arte il gran casino di essere umani, allora chi a quella storia ha infuso energia ha già vinto tutto.  

Ho cominciato la seconda parte il giorno che ho finito la prima. Non l’ho ancora conclusa, perciò non aspettatevi commenti esagerati su un finale iperbolico. Già so che ha diviso gli animi. A dirvela tutta, non mi interessa. Mi interessa la capacità di immersione, il fatto che, sette anni dopo, rivedo Joel ed Ellie invecchiati e irrisolti e sono contento come se avessi incontrato due vecchi amici. 

C’è una chitarra che tiene loro compagnia. Suona una versione ruvida di Future Days, la traccia finale di un vecchio album dei Pearl Jam, essenziale e diretta come solo l’ultimo Johnny Cash avrebbe saputo incidere. E considerato che la maggior parte della storia è ambientata a Seattle, gli applausi partono già a sipario appena sollevato.  

Cominciamo con la realizzazione tecnica del gioco. Siamo nella più completa maturità di questa generazione. La resa di qualsiasi elemento non fa difetto. Solo la passeggiata iniziale per le stradine di Jackson, il villaggio dove si sono rifugiati Ellie e Joel, ci regala un’umanità pulsante ed eclettica. Il silenzio delle strade di Seattle è quasi rasserenante. Il web è pieno di video che comparano il fotorealismo degli edifici diroccati alle vere strade di Seattle, per cui non devo dirvi altro.  

Pur sentendo il bisogno di regalare qualche squarcio di free roaming, non ne ha davvero bisogno. Ci sono piccoli dettagli da godersi in giro per gli scenari. Una ranocchia che salta in un pantano mentre cercate di salvare il collo, una playstation 3 impolverata con vicino ancora la custodia di Uncharted 3.  Tutto risuona di vita vissuta, e, ai tempi del Covid 19, assistere alla fine della civiltà genera un curioso corto circuito. I livelli sono tutti sapientemente costruiti e, anche se a volte qualche assalto è anticipato dalla presenza ingiustificata di ripari di fortuna, l’AI che anima umani ed infetti è impeccabile e a volte ti fa davvero saltare sul divano. La tavolozza di colori offre una città piovosa, con una vegetazione lussureggiante che devasta il cemento. Corsi d’acqua improvvisi, i ruderi di una Comic Expo, tutto serve per lasciare una traccia emotiva. Ed è la che questo gioco è veramente forte. Sebbene le animazioni dei personaggi non siano al massimo della fluidità e a volte risultino un po’ slegate ed innaturali, devo ricordarmi che questo non è il classico episodio della vita di Nathan Drake. Qui è più importante nascondersi, usare l’astuzia.  E’ un mondo crudele  dove gli infetti ti uccidono col primo tocco ed è una cosa che, almeno per le prima dieci ore mi ha tenuto con il patema.  

Naughty Dog ha questo modo intelligente di far arrivare i personaggi alla fine delle  storie sfasciati, ammaccati, pieni di tagli e cicatrici.  C’è una scena, Ellie di schiena nuda, il corpo tappezzato di contusioni. E sono cut scene di questo tipo che ti invogliano a portare la storia alla fine, anche se temi il finale.  E’ questo che li rende umani.  E’ questo che rende la storia degna di essere vissuta. 

Vedere il mondo dopo la fine del mondo, l’umanità incattivita e bastarda non ti dà moltissima fiducia in questi dissennati giorni, ma vi garantisco che più di una volta, spegnendo la console, in quel momento in cui gli occhi devono riabituarsi alla luce del sole ma le retine sono ancora impresse dai pixel, ho avuto il dubbio che non fosse solo dentro il televisore. Che questa storia sia stata capace di squarciare la verità da un velo di polemiche e barili inesplosi.  

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