(Come) I pini di Roma – Recensione a 2 gusti

La parola del Candido

Quand’è che si cresce?
Probabilmente quando si prende coscienza di ciò che siamo e di come siamo arrivati ad esserlo, cercando di far coincidere il più possibile l’immagine di quello che saremmo voluti essere con quello che realmente siamo.
Lo sa bene l’autore di “(Come) i pini di Roma” che ci racconta trent’anni di vita di tre fratelli che cercano, ognuno a modo suo, di trovare la propria collocazione nel mondo.
È il racconto di un percorso, spesso doloroso, che ci porta in giro per il mondo per tornare però sempre a casa perché alla fine sono solo la forza e la tenacia di “essere famiglia” a poter tenere uniti i pezzi di una vita che sembra cadere a pezzi.

Non è il primo romanzo del suo autore ma è sicuramente la più matura, in cui riversa tutto il suo amore per i fumetti e la sua profonda convinzione che i tuoi cari ti saranno sempre accanto, anche a costo di venire a prenderti dall’altra parte del mondo.
A proposito, l’autore è il nostro Mario Moschera ossia la persona attorno alla quale si è aggregato il progetto “Industrie Nerd” e questo per noi è una grande gioia e motivo di orgoglio… oltre ad essere la consapevolezza che qualsiasi cosa accada “nessuno sarà lasciato indietro”.

Il Candido

La parola del Flamio

Di mettere le mani avanti e del vino

Se vi sembra che in questa stanza io stia un po’ stretto, è per via di questo elefante che ho di fianco. Mi piace chiamarlo Herbert. Herbert è qui con me, perché oggi parliamo di (Come) I pini di Roma, che è scritto da Mario Moschera. E Mario, prima di tutto è un amico – e questo, in una recensione non sarebbe nemmeno un problema, a dire il vero – secondo poi, è cuore pulsante di Industrie Nerd. Sarebbe quindi lecito da parte di chi legge, domandarsi se questa sia una situazione del tipo “oste, com’è il vino?”
Sapete, una volta, mi è capitato di andare ad un importante evento dedicato proprio al vino. Un ambiente decisamente oltre i miei standard, pieno di visi perfettamente sbarbati messi su cravatte sgargianti e di bellissime donne vestite con abiti più costosi della mia auto. Una roba che io proprio non c’entravo niente, insomma. Mi avvicinai ad uno stand e chiesi di assaggiare un rosso al quale ora non farò pubblicità. Il sommelier, prese con eleganza una bottiglia, la stappò, annusò, assaggiò e con tutta la sicumera del mondo mi disse: “Bene… etereo e minerale”.
Ovviamente io rimasi come un manichino con lo sguardo da orata, con il calice vuoto rivolto a lui – e, si, mi guardò con disappunto misto a disprezzo, capendo che ero lì soltanto per bere come se fosse l’ultimo giorno dell’umanità – ma ancora oggi, a distanza di un decennio, la limpidezza con la quale mi descrisse le sue sensazioni senza volermi vendere nulla, è fonte di ispirazione per il mio senso critico.
Quindi prendete il vostro calice, sediamoci al tavolo e, con due chiacchiere fra amici, vediamo quanto sia etereo e minerale questo (Come) I pini di Roma.
Grazie Herbert, puoi anche uscire dalla stanza.

Di genitori, fratelli ed altre bestie

Quando un lettore si pone la domanda “quanto c’è di autobiografico”, significa che gli elementi del tessuto narrativo hanno assunto, nel corso delle vicende, una veridicità intrinseca, anche se questi non sono mai realmente esistiti. La dicitura tratto da una storia vera, viene messa per stimolare nel lettore la capacità di immedesimazione, riportandolo ad un contesto tangibile, o plausibile. Ma in realtà, salvo rari casi legati ad un particolare studio personale, reale ed immaginario, in un’opera di narrativa, sono questioni di lana caprina che non tolgono od aggiungono nulla alla validità della stessa. Ma l’immersività, diamine, quella si. Il riscontro delle proprie emozioni, od il ricordo di quelle passate, riportate ad un’opera di fantasia, la rendono vivida e quindi, ecco da dove viene la sensazione di autobiografia, domanda che mi ha accarezzato la mente in più occasioni durante questa lettura.

Tiberio, Lavinia e Claudio, i fratelli protagonisti di questo libro, vivono tanto di ricordi, quanto di presente. La narrazione ce lo mette subito in chiaro, nella struttura non lineare che vive di balzi lungo una finestra temporale di una trentina d’anni, la cui solidità strutturale reputo essere il vero punto di forza dell’intero costrutto. I personaggi si prendono tutto il tempo necessario per vivere motivazioni e contrasti, partendo dal tratteggio fino ad arrivare all’ultimo dei colori, risultando nel finale quadri completi, cui non rimane nulla di intentato od inespresso.

L’ambito familiare è un pilastro della storia, partendo dalla figura ingombrante di una madre oppressiva, sbilanciata dall’assenza del padre, passando per l’incapacità di relazionarsi dei fratelli. Nello stile si respira aria di letteratura britannica di fine secolo, con rimandi alla cultura pop universale e nostrana, dai primi riflessi di film amorosi per ragazzi, fino alla colonna sonora, citata ma non imposta. Ma soprattutto, si parla della generazione X. Si parla di quel limbo rimasto da esplorare per chi si è ritrovato a vivere nel decennio successivo agli 80, che nel loro sfarzo ed eccesso hanno fagocitato tutto, lasciando un mondo dalle tinte Londinesi, in cui agli X non sono rimaste vere guerre da combattere col mondo esterno, quanto una cupa lotta personale con la ricerca, affannosa, di un proprio obbiettivo. Cosa che vedremo traslata di conseguenza sul personaggio che è l’affaccio narrativo sulla generazione successiva, ovvero Diana.

Jovanotti, in una delle sue canzoni meno famose diceva: “l’esercito sarà degli insicuri cuori confusi e sguardi da duri”, prendendo appieno quanto stava ed ha continuato ad accadere per almeno un paio di decadi. E i protagonisti sembrano cesellati attorno a questo concetto di estrema fragilità e debolezza, senza la prontezza di spirito per una presa di posizione efficace a trovare il proprio ruolo. Ed è questo il tema che personalmente ho trovato centrale anche rispetto alle interazioni famigliari. Seguendo la lezione di Mead, non si può essere coscienti della propria posizione se non si è in grado di riconoscere e capire quella di chi ci circonda. E persi nei loro egoismi autolesionisti, quasi alla ricerca di compartimento, i tre dovranno percorrere a ritroso la strada che negli anni avevano intrapreso alla ricerca del mito degli uomini che si fanno da soli, trovandosi ben presto soli e basta. Un percorso verso il loro posto nel mondo che non potrà prescindere dall’apertura verso i problemi altrui, in una rincorsa faticosa ed affannata, densa.

Se taglierete la carta, i personaggi sanguineranno. Eterei e minerali.

Flamio

Uscita: 24/9/20
Titolo: (Come) i pini di Roma
Autore: Mario Moschera

Recesound: Jovanotti – Dobbiamo inventarci qualcosa

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