“You stupid piece of s#@t” ovvero “Avrei tanto voluto piacerti…”

Se siete di fretta date solo un’occhiata a queste immagini (prese dalla pagina Instagram Le perle di BoJack Horseman). Già da sole dovrebbero farvi venire voglia di approfondire chi o cosa è BoJack Horseman… se invece ve la sentite di leggere un po’ di più, vi aspetto alla fine della galleria.

Mi avvicino a questa chiacchierata, che forse sarebbe meglio chiamare sproloquio in forma di flusso di coscienza, con la stessa voglia di un condannato a morte che si dirige verso il patibolo… e dire che ho fortemente voluto io stesso parlarvi di quanto sia profonda ed importante questa serie che Netflix ci ha regalato dal 2014 per un totale di 77 episodi (compreso uno speciale natalizio) in sei stagioni e che merita di stare accanto alle opere di più elevato valore non solo dell’animazione ma della cinematografia in senso più ampio.

Creata da Raphael Bob-Waksberg e disegnata dalla fumettista statunitense Lisa Hanawalt, BoJack Horsemanracconta le vicende di una (ex) stella Hollywoodiana alle prese con la vita di tutti i giorni una volta esaurito il successo di gioventù; peccato che poi chi viene allettato da questa apparentemente innocua sinossi si ritrovi intrappolato in una malefica ragnatela che lo costringe a fare i conti con argomenti come dipendenza, depressione, ricerca di amore e di un senso per la vita e quindi calato in una realtà di episodi sempre più simili a specchi che riflettono la propria immagine con un indice puntato – devastantemente accusatorio – nei confronti dell’esistenza che sta conducendo.

BoJack Horseman è una prolungata, dolorosa, indispensabile seduta di psicanalisi per chiunque abbia la voglia, ma soprattutto il coraggio, di iniziarne la visione; ancora una volta mi trovo a non aver difficoltà ad usare il termine capolavoro, evidenziando con questa parola una realizzazione che abbia creato un mondo profondamente e precisamente strutturato ma soprattutto capace di stimolare chi ne viene in contatto a riflettere ed ad ampliare i propri ragionamenti traendone motivi per cambiare – in meglio – la propria vita.

Al suo primo apparire BoJack sembra essere un personaggio non particolarmente simpatico; egocentrico e narcisista dimostra inesistente interesse per chiunque non sia la sua persona e si comporta con supponenza con tutti, eppure… eppure da subito è facile percepire i suoi difetti e le sue debolezze proprio come se fossero nostre e diventa impossibile odiarlo e non vederlo appunto come uno specchio in cui tutti noi ci possiamo vedere riflessi.

Per una volta inizio parlando dell’aspetto grafico prima di affrontarne i contenuti; il disegno è apparentemente molto semplice e lineare, talvolta quasi infantile, come a voler concentrare l’attenzione sul messaggio più che sulla sua rappresentazione… ma a guardare con occhio più attento si vede come vi sia un’attenzione maniacale ad ogni singolo dettaglio che acquista un senso ed un’importanza vitale per la trasmissione del messaggio stesso. Nulla in BoJack Horseman è lasciato al caso o, per meglio dire, disegnato con superficialità: qualunque fotogramma, anche se realizzato in modo veloce ed appena abbozzato rivela una lucidità di analisi ed una giustificazione di presenza che molto dicono sul processo creativo e realizzativo che ne è alla base. Mi viene ad esempio in mente una festa in costume in cui una tarma è travestita da fantasma ed il cui lenzuolo/travestimento si accorcia sempre più con il trascorrere del tempo; al di là del messaggio più semplice ossia che le tarme mangiano i vestiti non può sfuggire il senso, nascosto più in profondità, che con il tempo tendiamo a far cadere anche le nostre maschere e tutto questo ci viene suggerito con una manciata di scene disegnate appunto con apparente semplicità. 

La scelta di affiancare a figure umane altre, oltretutto la maggioranza, che sono la rappresentazione antropomorfa di qualsiasi specie animale può sembrare assurda od al più estremamente stravagante ma anche in questo caso a mio parere incarna un suggerimento più profondo ovvero che tutto quel mondo di problematiche esistenziali sia comune proprio alla vita in sé, qualunque forma essa abbia: gatto, cane, cavallo od uomo. A tal proposito è doveroso evidenziare come le espressioni facciali di ogni personaggio, umano od animale, siano rappresentate con un’intensità mimica assolutamente spettacolare, riuscendo a rendere visibili su ogni volto le emozioni ed i sentimenti provati con una semplicità essenziale ed al contempo una profondità espressiva che mi lascia ogni volta incantato.

Inoltre forse il vedere rappresentato con un aspetto non umano chi si comporta o ha modi d’essere simili ai nostri – quelli peggiori -può rendere più facile a livello psicologico il lavoro di immedesimazione da parte dello spettatore e quindi meno ostico l’approfondimento di quegli aspetti sui quali può essere utile migliorare.

Tutti gli spunti di analisi che BoJack Horseman offre sono candidamente dichiarati da frasi messe in bocca ai personaggi in modo assolutamente naturale e spontaneo eppure si tratta di concetti dirompenti, in grado di scatenare processi di (auto)analisi profondissimi ma che sembrano davvero “segreti nascosti in primissimo piano”. Ritengo proprio questa capacità di far passare concetti indispensabili per la crescita spirituale di ogni individuo come semplici pennellate che ad uno sguardo superficiale possono anche sfuggire, la vera grandezza della serie. Non vi è mai un tono accusatorio nei confronti del peccatore ma solo del peccato e questa è realmente una delle poche opere in cui tale concetto è prepotentemente affermato: di BoJack e degli altri che commettono qualche errore non viene mai condannata l’esistenza ma solo l’azione.

Ed anche questo meraviglioso insegnamento è chiaramente esplicitato nelle parole che Diane rivolge al protagonista in una delle puntate della prima serie (“non significa niente brutte persone e belle persone. Siamo solo persone che a volte fanno cose belle e altre volte cose brutte.”).

Stupefacente è la capacità degli autori di rappresentare tutti i personaggi, dai protagonisti alle ultime comparse, in modo completo e tridimensionale; anche i clienti dei ristoranti o dei bar oppure gli invitati alle feste di Hollywoo (senza più la D) rappresentati negli sfondi, se si ha la pazienza e l’acume di guardare bene, hanno caratteristiche dirompenti che li identificano e ci permettono di ricordarli come creature con un loro volume e non solo come fondali sfocati.

La serie ci regala dei personaggi pressoché impossibili da dimenticare; già dalla prima puntata è facile capire come centrale in tutta la storia sia Diane Nguyen: scrittrice, intellettuale, fidanzata di Mr. Peanutbutter, ancora di salvezza per ogni deriva di BoJack. Sicuramente quella che sembra essere la figura più matura e meglio attrezzata per la vita di tutto il caravanserraglio che circonda il protagonista; eppure nel corso delle sei stagioni viene messa a nudo la sua fragilità, la sua insicurezza ed anche la sua infelicità, suggerendo anche che buona parte delle sue ferite provengano da una famiglia che mai ha saputo rendere merito alle sue indubbie qualità ed ai suoi sforzi per farsi apprezzare. Rimane fino all’ultimo la persona che maggiormente aiuta BoJack a sopravvivere a sé stesso e rappresenta forse anche quella che meglio degli altri riesce a stare a galla nel quotidiano mare di merda dove tutti sono costretti a navigare.

Mr. Peanutbutter è, apparentemente, l’incarnazione della spensieratezza – d’altronde cosa puoi aspettarti da un labrador? – ma più si va avanti nelle storie e più si capisce che la sua leggerezza è solo di facciata ed anche questo personaggio cerca di superare come meglio riesce la vacuità di quella che percepisce essere un’esistenza senza scopo finendo addirittura per diventare il meme della tristezza… (“Sad dog”).

Se Diane è la figura di riferimento per BoJack, non si può nondimeno dimenticare colei che per il divo di Horsin’ Around ha sacrificato gran parte della sua vita, ossia Princess Carolyn. La gatta che è anche agente del protagonista ha da sempre sacrificato tutta la sua vita all’amore che prova per lui, ottenendone in cambio solo fugaci notti di sesso e mai il riconoscimento del suo lavoro, tantomeno la reciprocità del suo sentimento. Princess trascorre gli anni più belli della sua vita rincorrendo invano l’amore di BoJack pur essendo perfettamente consapevole del rapporto malato che con lui instaura e che le impedisce di ottenere ciò che invece desidera ossia una famiglia tutta sua; solo alla fine, pur rimanendo accanto al suo vecchio amore ma ora solo come amica, riesce a coronare il proprio desiderio di felicità con una persona che realmente la apprezza, spezzando i lacci della sua passione per BoJack.

Todd Chavez è la rappresentazione del candore e dell’innocenza. Ingenuo al punto da sembrare stupido, neanche lui riesce a sfuggire all’ombra della tristezza che copre ogni personaggio. La sua fuga dal rapporto con la madre e soprattutto la sua incapacità a confrontarsi con la realtà di un mondo che poco concede ai puri di cuore (ma forse neppure il buon Todd è davvero tanto puro…) lo rendono un personaggio difficilmente inquadrabile in un’ottica di positività o negatività; sembra quasi voler fungere da coscienza per BoJack e spesso proprio la sua eccessiva innocenza offre inaspettati punti di vista su situazioni e comportamenti che potrebbero sembrare di più facile interpretazione.

Di Sarah Lynn si potrebbe parlare per una vita intera, di come BoJack con lei abbia metaforicamente (ma non troppo) ucciso sua figlia, la propria eredità e le sue stesse responsabilità… mi limito però in questo caso ad accostarla all’altra figura con cui BH condivise il successo iniziale: Herb Kazzaz. Entrambi sono accomunati dall’essere stati eliminati da BoJack che non prende le difese dell’amico quando viene cacciato dallo show e lo abbandona nel momento del bisogno quando si ammala di cancro e muore dimenticato da tutti e che fa ripiombare la ragazza nel vortice delle droghe fino a che muore abbracciata a lui che tarda a chiamare i soccorsi… Sono due pesantissime rappresentazioni delle responsabilità personali disattese e delegate ad altri e le si può vedere costantemente fissare, mute, BoJack che vive ogni istante della sua esistenza cercando di espiare la colpa di ciò che gli rimproverano di aver – o di non aver – fatto.

Non si possono ovviamente tralasciare i due veri creatori di BoJack Horseman: Beatrice Sugarman e Butterscotch Horseman, genitori e, sotto ogni punto di vista, artefici di quel gomitolo inestricabile di problemi, insicurezze, dipendenze e difficoltà che è il protagonista della serie. Due personalità forti che mal si adattano a vivere una accanto all’altra ma che sono costrette a farlo dall’ipocrisia del mondo o forse dalla loro pigrizia e pavidità; in questo modo l’atmosfera creata dai due avvelena l’aria in cui BoJack vive e di conseguenza il piccolo non può che crescere con esempi tossici di affetto ed amore, continuando a riproporre modi sbagliati di rapportarsi agli altri.

BoJack, come peraltro tutti gli altri personaggi, è figlio della sua infanzia e come tale non potrà mai essere felice; la cosa terribile è che questa tremenda verità gli viene letteralmente sbattuta in faccia in diversi episodi dai suoi stessi genitori, incuranti ed a tratti addirittura quasi orgogliosi dei danni commessi.

Infine la cerbiatta.

Charlotte Moore è semplicemente l’occasione giusta per BoJack per essere felice… e lui la lascia andare per codardia. Chi non ha la più pallida idea di cosa io stia dicendo può continuare a leggere, gli altri si asciughino le lacrime, tanto non servono…

Credo che la grandezza della serie sia da trovare proprio nella facilità che ognuno di noi può avere nell’immedesimarsi in BoJack ovvero in un personaggio che vorrebbe ma non può o, per meglio dire, vuole ma non si sforza di fare. Come spesso capita anche a noi di pensare, BH si aspetta che le cose che desidera gli capitino tra le mani per diritto acquisito, perché è così che deve andare, perché sì… 

Tutta la sofferenza vissuta da bambino è da lui ritenuta lasciapassare sufficiente a giustificare qualunque crudeltà e/o cattiveria compia adesso da adulto, ora che – come lui stesso afferma – non prova nulla né all’esterno né all’interno; in tutto questo però dimentica che la sofferenza è comune a tutti gli esseri viventi e che quindi nessuno è giustificato ad ignorare o peggio ancora causare il dolore altrui per ottenere una propria fugace felicità.

Il tema della famiglia mi sembra essere fondamentale nella comprensione delle dinamiche di ogni singolo personaggio; dal desiderio di essere amato dai suoi genitori che perseguita BoJack fin dall’infanzia alla voglia di avere dei figli di Princess Carolyn, dal rapporto conflittuale di Todd con la madre a quello di Mr. Peanutbutter con i suoi fratelli per finire con i parenti tutti di Diane che non la apprezzano né la supportano in nulla ed anzi la considerano una fallita ed anche arrogante. Per ognuno dei protagonisti la famiglia risulta essere un peso e quasi una condanna, certamente la causa principale di ciò che sono diventati crescendo, alcuni cercando di emanciparsi da un’eredità così gravosa, altri venendone negativamente plasmati.

  • Avrei tanto voluto piacerti, Diane
  • Lo so

In queste due veloci battute scambiate da BoJack e Diane si racchiude gran parte del senso di tutta la serie: il desiderio – irrealizzato e forse irrealizzabile – del protagonista di avere un po’ di quell’amore che gli viene rifiutato fin da quando ha memoria, prima proprio dai suoi genitori e successivamente da tutte le persone del suo intorno; a tal punto questa necessità di un affetto stabile e continuativo diviene esigenza indispensabile per BoJack che inconsciamente allontana chiunque possa amarlo proprio per il timore che prima o poi questa persona possa rifiutargli quell’affetto che fino ad un attimo prima gli stava dedicando e che stabilisce quindi sia meglio sabotare da subito la relazione tenendo a distanza tutti con la convinzione e la presunzione, ovviamente errate, di venire comunque alla fine ferito. 

Viene spesso evidenziato come la serie – e soprattutto il suo protagonista – parli di dipendenze (alcool, droga, sesso, rapporti tossici) e di depressione. Personalmente ritengo BoJack un personaggio non particolarmente depresso pur riconoscendo che in alcuni passaggi del racconto questa patologia possa essere riscontrata in lui; credo che principalmente però BH sia una persona fortemente infelice ed insoddisfatta di sé. Tutta l’inquietudine e l’irrequietezza dimostrate dal protagonista e tutte le dipendenze in cui finisce a crogiolarsi sono solo un modo di nascondere e superare la disperata infelicità derivante dal non sentirsi mai all’altezza delle aspettative, certamente altrui ma soprattutto, credo, proprie. In questo modo davvero si può ritenere BoJack unico e solo responsabile di ciò che è: una creatura appunto disperata ed infelice.

Come per tutte le opere che hanno un elevato valore intrinseco anche BoJack Horseman è ricco di più livelli di letturae quindi meritevole di infinite nuove visioni che ogni volta riescono a regalare nuovi spunti di riflessione; indubbiamente però ci sono alcuni episodi in cui il tono sale ulteriormente di livello e che si dimostrano piccole perle a sé stanti. Mi viene da pensare a Churro gratis, a Un pesce fuor d’acqua oppure a è troppo, amico o a La vecchia casa dei Sugarman od ancora, ovviamente a Il panorama a metà strada; si tratta davvero di momenti di altissima intensità in cui la complessità e la profondità dei temi affrontati si mescolano alla perfezione con la realizzazione grafica, musicale e di animazione, traendo forza l’una dall’altra e regalando allo spettatore un prodotto finale che travalica i confini del semplice cartone animato.

Proprio a proposito de Il panorama a metà strada spesso ho pensato sarebbe stato più giusto (?) concludere con questo episodio la storia di BoJack, lasciando intendere che il suo desiderio di autolesionismo fosse alla fine riuscito ad avere il sopravvento spingendolo ad un incidente mortale che tanto poteva sapere di suicidio. Così non è, dal momento che lui sopravvive e nell’ultima puntata, anch’essa straziante per il commiato che condivide con ognuno dei suoi amici e che è davvero intenso e doloroso, in particolar modo quello con le donne della sua vita Diane e Princess Carolyn, vediamo un nuovo BH, decisamente più mesto ma apparentemente in pace con sé stesso (sempre che possa davvero essere in pace, soprattutto con la propria anima…); in fondo però mi è parso di vedere in questa conclusione la sottile insinuazione che il vero BoJack sia davvero morto nella piscina e che questo nuovo uomo (pardon, cavallo) sia effettivamente un qualcuno di diverso da ciò che era prima… forse è così ma personalmente trovo difficile non rimpiangere l’incarnazione precedente, infinitamente più viva ed interessante pur nella sua meschinità  e complessità rispetto a questa nuova figura, forse più serena – ed insisto sul forse – ma sicuramente meno vivace e che sembra essersi arresa al peso dell’esistenza.

Consiglio davvero a tutti di guardare o riguardare con attenzione la penultima puntata proprio per rendersi conto di come ogni singolo fotogramma, ogni parola, ogni minimo particolare di questo episodio sia una citazione, un rimando, un approfondimento… insomma una piccola gemma nascosta in primo piano e che è in grado di regalare allo spettatore una quantità pressoché infinita di spunti di meditazione. Una tale ricchezza di stimoli non può che essere data da un capolavoro, ed ecco perché non mi trattengo dall’utilizzare senza remore questa parola parlando di BoJack Horseman.

Una ulteriore citazione la merita senza dubbio anche la colonna sonora di tutta la serie che regala brani indimenticabili che si adattano magnificamente alla narrazione visiva della vita di BoJack e che difficilmente si dimentica, a partire dalla sigla iniziale, spettacolare tanto graficamente quanto appunto musicalmente, per finire con “Mr. Blue” di Chaterine Feeny (che non riesco più a smettere di ascoltare in loop). Si tratta di un tema acustico che accompagna perfettamente per tutte le sei stagioni le evoluzioni spirituali dei protagonisti, completando a volte il non detto della narrazione animata e scavando a fondo nell’anima dei personaggi.

Chi ha già avuto la sfortuna di imbattersi nelle mie recensioni sa bene quanto io ami Sandman, Cowboy Bebop e, appunto, BoJack Horseman… mi rendo conto io stesso che quindi non mi farebbe male farmi vedere da uno “bravo davvero” perché avere delle preferenze così particolari dovrebbe preoccupare; poi però mi tornano alla mente gli studi di gioventù ed in particolare l’amore sconfinato per i grandi tragici greci e mi accorgo che molti sono i punti di contatto, fatte le debite proporzioni, tra tutte queste opere (tragedie, fumetti, cartoni animati…). In comune c’è sempre un animo irrequieto, alla continua ricerca del perché delle cose e soprattutto di sé stesso e chiunque abbia la voglia ed il coraggio di cercare e di scoprire qualcosa di nuovo non potrà mai essere un cattivo esempio.

 “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”.

Comunque… “avrei tanto voluto piacerti”…

 e – per Dio – non rispondermi “lo so”.

Recensione de il candido Umberto

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