L’acchiapparane

Il Flamio dice che me le cerco… probabilmente ha ragione ma questa volta mi sento del tutto privo di colpe: chi mi conosce sa bene quanto mi piacciano questi anfibi saltellanti che a volte si trasformano in nobilissimi coronati e quindi non potevo perdere un titolo come “L’acchiapparane”, tanto più che il volume pubblicato da baopublishing è opera di un artista come Jeff Lemire.

Ma ecco che mi ritrovo nuovamente impelagato in una storia oggettivamente triste (e forse aggiungerei anche solitaria e finale) ed apparentemente disperante neanche avessi deciso di specializzarmi in drammi e tragedie… comunque sia, sono in ballo e dunque cerco di muovere le gambe a ritmo.

Il cartonato non è spesso, non sono neppure cento pagine peraltro neanche numerate proprio perché, come si capisce leggendo, non è importante lo sviluppo della trama ma le sensazioni del percorso.

Un percorso appunto che già dalla prima immagine – una doppia pagina – mi aiuta a capire che stiamo parlando di un passaggio da un mondo ad un altro…

E poi inizia la lettura, o meglio la visione perché ben poche sono inizialmente le parole; da subito mi accorgo di dovermi affidare più al cuore che alla mente per gustarmi queste pagine che passano da essere disegnate con poche vignette ad avere un’unica illustrazione con un andamento che molto mi ha ricordato un montaggio cinematografico, richiamo questo che ho visto anche nell’uso del colore paragonabile a quello della colonna sonora in ambito filmografico.

Sto assistendo alla fine dell’esistenza di un uomo ed al tempo stesso di tutte le possibilità che questa stessa persona ha avuto a disposizione durante la sua esistenza; con tratti semplici, veloci ed apparentemente quasi solo abbozzati Lemire mi fa passare dal ricordo di una mano che acchiappa una rana alla cassa toracica di un uomo che sta morendo o forse sognando o, forse ancora, entrambe le cose. La grafica di tutte le pagine è davvero asciutta ed essenziale, fatta di linee appena accennate e sfumate che tendono a diventare tutt’altro nello spazio di una vignetta proprio come se tutto fosse possibile cambiando semplicemente il punto di vista…

La storia sembra partire claustrofobica, tra canali di scolo, scantinati e camere di un albergo da cui non è possibile scappare se non saltando da una finestra e ritrovandosi in spazi più ampi che sembrano suggerire possibilità (eccole nuovamente) di fuga; proprio questa seconda parte mi permetterebbe di prendere un po’ di fiato ma in realtà la narrazione per immagini continua a suggerirmi un senso di malessere e vaga oppressione pur senza togliermi completamente la speranza (la possibilità) di avere un lieto fine.

Mi ritrovo a passare da una narrazione onirica e di ricordo, evidenziate dal bianco e nero dei disegni, ad una più crudamente reale dove fa capolino una tenue colorazione che, oltre a sottolineare (appunto, come dicevo prima, al pari di un commento musicale) l’importanza di alcuni momenti come i ricordi (rimpianti?), mi offre una visione meno cupa degli eventi. Eh sì perché io ne “L’acchiapparane” non riesco a non vederci un messaggio positivo; sarà che sono pur sempre il Candido Umberto, sarà che le rane e tutto il volume sono di un bel color verde (speranza) ma io in questa storia fortemente intimista e dolorosamente toccante trovo un senso propizio.

Alla fine queste rane non sono altro che le infinite possibilità che tutti possiamo “acchiappare” nella nostra vita e che, se anche ci inseguiranno sotto forma di rimorsi o rimpianti (comunque come ricordi), dovremo lasciare andare prima di attraversare il tunnel che ci porterà ad un nuovo mondo esattamente come dice senza possibilità di replica il giovane protagonista alla sua controparte morente.

Di Lemire in questo ultimo periodo mi è capitato di vedere su Netflix l’adattamento di “Sweet Tooth” e per quanto la traduzione corretta sia “golosone” non posso non collegare a queste sue opere il concetto di “dolcezza”; reputo infatti che l’autore canadese riesca sempre a mantenere nelle sue narrazioni più cupe e desolate un aspetto ed un modo di raccontare dolce e delicato pur non cadendo mai nell’assolutorio. In questo volume di caccia all’anfibio emerge infatti chiara la consapevolezza degli errori commessi o quanto meno delle possibilità andate sprecate e perdute (come dimenticare le foto ed i disegni che piovono dal cielo) eppure permane il sottofondo dolce – appunto – di avere comunque sfruttato una possibilità per offrire il meglio di sé stessi agli altri e la speranza di poter continuare a farlo durante il prossimo viaggio.

Ma perché insisto, magari azzardando, nel dire che ci vedo un messaggio positivo? Forse perché sono un inguaribile ottimista, appunto, o forse perché quelle ultime pagine “colorate di realtà” – pur essendo ricordi – mi fanno pensare con fiducia che le infinite possibilità di essere la realizzazione del meglio di noi stessi siano sempre a nostra disposizione. La serie di tavole conclusive con il ragazzo che acchiappa le rane e le libera poi altrove per guardarle saltellare via, ai miei occhi è dichiarazione di positività e speranza che offre una boccata di ossigeno salvifica alla fine di una lettura che davvero mi ha costretto ad un’apnea dolorosa a causa di quello che scorreva sotto i miei occhi.

Dunque mi aspettavo un bel fumetto sulle mie adorate rane e mi sono trovato ad assistere alla morte di una persona… ha proprio ragione il Flamio nel dire che me le cerco… Però a ben guardare forse non sono caduto tanto distante da quella storia che immaginavo in cui dal batrace veniva fuori un nobile ematicamente bluastro; anche qui infatti dalle mie amate rane nascono infinite possibilità di comportarci al meglio di quello che siamo: nobili veri, per scelta di vita e non per casualità di nascita.

Recensione de Il candido Umberto

L’acchiapparane di Jeff Lemire bao publishing 16,00 euro

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