The Promised Neverland
Il lungo filo del destino, che avvolge ognuno dei protagonisti, è centrale nella trama ed è fonte di un’accurata riflessione che mi preme condividere. Ideato da Kaiu Shirai e disegnato dalla “sensei” Posuka Demizu, “The Promised Neverland” si impone come storia affascinante, coinvolgente ma soprattutto ispirante. I bambini di un orfanotrofio, la Grace Field House, sono accuditi col massimo delle attenzioni dalla loro mamma, Isabella: giocano, mangiano bene e studiano. Insomma, un piccolo paradiso terrestre che però cela un’oscura verità: verso i dodici anni, i bambini devono essere “spediti”, ovvero dati in pasto ai demoni che governano il mondo, i quali apprezzano enormemente i cervelli, come fossero carne da macello; infatti gli orfanotrofi non sono altro che “fattorie”. La protagonista, Emma, assieme agli amici di sempre Norman e Ray, scopre la verità quando assiste alla consegna di una delle bambine e rimane sconvolta. Emma, che ha sempre amato tutti i bambini del gruppo e concepito Grace Field come un’unica grande famiglia, non può immaginare che altri di loro, lei compresa, possano fare la stessa fine. Così i ragazzi decidono di ribellarsi al volere del loro Dio, districarsi dal filo del destino crudele che li avvolgeva e crearne uno tutto loro: non vivendolo più qualcosa di superiore e incontrollabile, ma rendendosi pienamente padroni di sé e delle proprie sorti, in pieno spirito umanistico-rinascimentale. I ragazzi elaborano un piano ingegnoso per far fuggire tutti, pensato nei dettagli, che viene attuato la notte del dodicesimo compleanno di Ray. Prima però, Norman è costretto ad essere spedito e decide di sacrificarsi per la riuscita del piano: Emma ne sarà distrutta, ma con grande sorpresa si chiarirà che invero Norman è stato selezionato dai demoni per degli esperimenti su nuove “fattorie”. La notte del piano, Grace Field è ridotta in fiamme e i bambini ne approfittano per oltrepassare il muro e il burrone e fuggire nella foresta.
Da quel momento, il filo del destino è stato tagliato del tutto: ora sta a loro definire quel che sarà, in mezzo a mille pericoli esplorando un mondo sconosciuto, con soltanto le remote indicazioni di tal William Minerva, alleato dei bambini. Emma con Ray si prende carico del gruppo, ponendosi come fulcro della famiglia e portatrice di un grande ideale: creare un nuovo mondo, prospero per tutti gli umani.
La famiglia, quella che più di ogni altra parola è sinonimo di unità, consente ai bambini di sopravvivere. La famiglia che fin dalla prima pagina impregna di magia un posto dai fini così terribili come Grace Field; la famiglia che per Emma viene prima di sé stessa; la famiglia che è àncora di salvezza, sostegno fisso e sicuro; la famiglia formata da persone che, come un’unica entità, affrontano ogni difficoltà sostenendosi a vicenda. Non sono tanto le azioni di Emma, o di Ray, ma le azioni di un’intera famiglia, che forgiano un nuovo destino, contro ogni previsione o possibilità; azioni di una famiglia sicura del valore incommensurabile della ragione umana, e che sogna un nuovo mondo, distruggendo Neverland. Hanno conosciuto moltissime altre figure, da esseri umani anch’essi fuggitivi fino addirittura a demoni disposti ad aiutarli; hanno conosciuto la guerra, scontrandosi con i demoni, ma soprattutto hanno conosciuto il successo della ragione umana, che si prende gioco di divinità e demoni e abbatte Neverland, imponendo i valori della famiglia: armonia, pace e amore reciproco.
Non si pensi però a un lieto fine come a noi moderni piace intenderlo: è finita bene, gli eroi hanno vinto, evviva, fine. A tutto c’è un prezzo, ed Emma, che è in grado di stabilire un nuovo patto con la divinità che permetta a tutti gli uomini di vivere, dovrà pagare l’intera somma: i suoi ricordi. Proprio questo prezzo da pagare è fonte della riflessione che mi ha ispirato maggiormente per scrivere questo articolo: Emma ha pagato con la sua stessa vita. Ha dovuto rinunciare ai suoi ricordi, quindi alla famiglia, primo motivo dichiarato della sua esistenza, a Norman, a Ray, a Phil; alle sue avventure, ai suoi ideali, alla sua identità. È altresì costretta a separarsi per sempre dagli amici. Emma è morta ed è nata una bambina in tutto simile a lei, ma non lei. Quando un uomo perde sé stesso, è morto. Emma ha scelto di morire per tutti, non fisicamente però, il che forse è anche peggio. Se però è vero che un uomo che non è ricordato da alcuna persona non è mai vissuto, questo non è decisamente il caso della nostra eroina. L’ostinazione della sua famiglia nel ritrovarla, nonostante le disposizioni divine, permette loro di ricongiungersi in un grande abbraccio finale. Non è Emma quella che stanno abbracciando, non la Emma che conoscevano, che non li riconosce, ma la Emma che hanno sempre amato. E sebbene sia morta, finché qualcuno la ricorderà, Emma vivrà per sempre.