Di uomini e forse di Dei

(Star Trek: Picard, seconda stagione)

“Questa è una storia di perdòno…”

Raramente ho amato serie collegate a grandi saghe cinematografiche o televisive trovando quasi sempre che si affidassero più al nome cui facevano riferimento che non a valide sceneggiature o regie. Ciò nonostante non credo di aver mai trascurato nessuna di queste storie cercando, nel bene più che nel male, qualcosa che valesse la pena ricordare.

Da grande appassionato di quel meraviglioso universo fantascientifico che è Star Trek non mi sono lasciato sfuggire quindi le due stagioni incentrate sulla figura, titanica, del capitano dell’Enterprise nel ciclo Next Generation: Jean-Luc Picard. La prima, pur avendomi inizialmente colpito in modo positivo, si è conclusa senza però darmi la sensazione di essere indimenticabile e quindi il mio approccio alla seconda serie non è stato dei più entusiastici. E poi dopo un promettente inizio della prima puntata con l’arrivo dei Borg, ecco che quanto è avvenuto si rivela una creazione del personaggio che meno amo di tutta la saga: Q… ed allora ditelo che non volete mai regalarmi una gioia… Poi però, complice anche il fatto che il venerdì sera non avevo nulla da fare, ho guardato tutte le dieci puntate e la gioia è finalmente arrivata… e quindi posso anch’io ben dire “Je ne regrette rien”.

I giudizi su questa nuova produzione in generale non sono stati molto positivi; in tanti hanno imputato una sorta di allontanamento dallo spirito della serie da parte degli sceneggiatori che si sono soffermati forse troppo sulla parte d’azione della storia tralasciando lo spirito inclusivo e “preservativo della realtà” tipico di Star Trek ed al tempo stesso accusando di aver dato troppo peso ad una singola figura laddove sempre nella serie originale è il gruppo ad essere importante. Personalmente mi trovo d’accordo sulla critica alla deriva troppo volta all’avventura ma al contrario trovo estremamente interessante l’approfondimento psicologico di uno dei personaggi cardine dell’universo trekkiano ossia quel Picard che già dal titolo è centro di tutta la serie.

Ho già confessato il mio scarso apprezzamento per il personaggio di Q, creazione troppo simile ad un isterico deus ex machina che ad ogni apparizione mi toglieva un po’ la voglia di continuare a seguire la trama delle storie; questa volta però devo riconoscere che la sua figura risulta assolutamente fondamentale – ed incredibilmente coerente con sé stessa – per lo sviluppo del racconto. Si potrebbe quasi dire che addirittura si assista ad un’umanizzazione della divinità (ed il tema della convergenza di ogni punto di vista su quello più marcatamente umano è forse uno dei temi portanti della stagione anche se non so se la cosa sia voluta…) in un processo che effettivamente potrebbe suonare estremamente banale ma che, lo confesso, non trovo spiacevole.

Il dialogo conclusivo tra Picard e Q è uno dei momenti più intensi ed interessanti in cui mi sia imbattuto da diverso tempo a questa parte e merita sicuramente di essere gustato più volte, assaporandone sempre qualche nuova sfumatura. “Questa è una storia di perdono” è proprio il sigillo a tutta la stagione e mette ben in evidenza quello che è stato il percorso di tutti i personaggi, ma perdòno verso chi?

Emerge una vena profondamente intima – ed umana appunto – che riguarda ogni personaggio; tutti i protagonisti devono fare i conti con le proprie scelte e di conseguenza riuscire a far pace con il proprio passato: alla fine devono imparare a perdonare sé stessi, rendendosi conto che le persone che ora sono risultino essere il frutto delle decisioni, dolorose, sofferte e forse sbagliate, che hanno fatto nel corso della loro vita.  

E con il perdono arriva anche l’accettazione di quello che si è, passo indispensabile per poter andare avanti nel percorso della propria vita proprio come accade al personaggio della dottoressa Jurati che riconoscendo ed accettando la propria condizione pone le basi per il suo – e forse non solo suo – sviluppo futuro.

Così anche Raffi impara a convivere con il proprio carattere ribelle, riuscendo a mediare più spesso con una razionalità che ogni tanto accorre in suo aiuto e Rios stesso riesce a far pace con il proprio spirito irrequieto ed a trovare il suo posto nel mondo anche se forse non nel tempo…

La figura che probabilmente avrebbe potuto essere approfondita maggiormente e meglio è quella di Sette di Nove che davvero potrebbe essere fonte di riflessioni e sviluppi ben più importanti ma rimane un poco in ombra con il suo bagaglio pesantissimo di esperienze e possibilità di sviluppo.

Lo stesso Q attraversa un momento particolare a lui sconosciuto, forse di morte, comunque certamente di cambiamento e per farlo decide di perdonarsi, accettandosi e rivelandosi a colui che ritiene un suo “preferito”, Picard appunto, manifestando però nel suo comportamento una muta richiesta di aiuto ed amicizia e ricevendo da questi uomini così apparentemente insignificanti il conforto e la vicinanza che solo una famiglia, nel senso più ampio del termine, sa e può dare.

Il concetto di famiglia come base e fine di ogni sviluppo, personale e di specie, è fondamentale e torna anche nella vicenda del dottor Soong destinato ad interpretare quanto non si dovrebbe fare per inseguire i propri sogni ed unico personaggio a non avere pentimento né a cercare perdono per le sue azioni e come tale destinato quindi a restare solo. Finanche i Borg… e voglio dire… I BORG… finanche loro cambiano, evolvono e risultano migliori dopo l’assimilazione della specie umana, tanto che verrebbe da chiedersi chi abbia assimilato chi… 


Questa dei Borg è forse la parte che meno mi ha soddisfatto di tutta la stagione, risultando uno sviluppo davvero troppo poco credibile e fin troppo banale, assolutamente incongruente con una linea narrativa ormai perfettamente logica ed accettata nell’universo della serie. 

A ben guardare mi sembra che in tutta la stagione si possa trovare un filo conduttore di tipo “politico” che potrebbe essere vista anche come una metafora del comportamento degli USA nei confronti del resto del mondo; la frase “una galassia sicura è una galassia umana” che è il fondamento del nuovo universo in cui Q spedisce i protagonisti suona molto simile a tante asserzioni che troppo spesso ascoltiamo nella nostra realtà quotidiana riguardo a cosa servirebbe per vivere in un mondo tranquillo. Ed al tempo stesso però il ritorno alla vita che conducevano è un elegia per quel concetto di crogiuolo di razze che da sempre contraddistingue l’orgoglio degli Stati Uniti… solo che davvero vedere che anche i Borg debbano sottostare a questa regola che purtroppo sembra essere solo di facciata, appare più come una forzatura in qualche modo ipocrita che non una reale e credibile evoluzione narrativa per la prosecuzione della serie.

E poi c’è lui… Jean-Luc Picard. Sostenuto dall’interpretazione di un attore completo e versatile che nonostante i suoi più di ottant’anni non sfigura neppure nelle scene d’azione, l’ammiraglio Picard è il centro ed il cuore di questa seconda stagione ed a mio parere la cosa è buona e preziosa.

E’ lui il principale personaggio a dover fare i conti con il proprio passato e con le scelte che ne hanno contraddistinto ed indirizzato il percorso. Un uomo con trascorsi diversi, forse meno pesanti, non avrebbe potuto essere così empatico e generoso come il Picard che abbiamo conosciuto e quindi il futuro della Federazione avrebbe potuto prendere la piega dittatoriale del futuro alternativo in cui Q colloca i protagonisti ma l’avere vissuto e sopportato ciò che così a fondo ha condizionato la vita del giovane Jean-Luc è stato certamente fonte di indicibile dolore. La scelta per l’ammiraglio sembra quindi difficile ma ovviamente non può alla fine che essere in linea con lo spirito dell’uomo che conosciamo: volta al bene comune anche a scapito della sofferenza personale. Però almeno in questo modo Picard ha, grazie a Q, la possibilità di fare appunto pace con sé stesso, vedendo come le sue decisioni abbiano alla fine portato ad un qualcosa di superiore per gli altri; al tempo stesso diviene evidente ai suoi occhi come ogni scelta debba essere presa senza pensare troppo ad infinite variabili ma cercando sempre di agire per il meglio, disposti ad affrontare con leggerezza – e non superficialità – le conseguenze. Questo è ciò che si capisce dal discorso finale di Picard con Laris, la donna romulana che, per timore, Jean-Luc aveva allontanato nella prima puntata della stagione e che in occasione proprio di quel primo colloquio l’aveva duramente messo di fronte alle sue paure ed alla sua viltà nei confronti della propria felicità. A lei un Picard reduce dall’avventura temporale chiederà scusa ed offrirà una seconda possibilità perché “se il tempo non può offrirci seconde occasioni, le persone possono… forse”.

Condivido con il mio migliore amico la passione per Star Trek ed ovviamente abbiamo a lungo chiacchierato di questa serie… tre sono i dialoghi che contraddistinguono questa stagione e ne definiscono i confini; due sono appunto quelli tra Jean-Luc e Laris e mettono al centro l’importanza dei rapporti e del mettersi in gioco tra persone, l’ultimo è quello tra Picard e Q.

L’animo nobile dell’amico Pierfrancesco è rimasto incantato dalla profonda ed altruistica umanità dei primi due, e non ne avevo alcun dubbio; io invece ancora adesso torno a rivedere la scena nella serra in cui Jean-Luc si confronta con Q e da lui riceve l’illuminazione che risponde alle sue apparentemente egoistiche domande… tant’è… il peccato di egocentrismo non mi è mai stato alieno.

Davvero però trovo questa scena una delle migliori tra quelle di tutta la saga, capace di illuminare la comprensione non solo del protagonista ma anche degli spettatori su quello che è il senso della narrazione e – perché no – della vita stessa. Accettare, perdonare, migliorare, essere d’esempio per gli altri. E non guasta che sia stata realizzata davvero con enorme maestria da due attori che con la loro recitazione regalano un momento di un livello di gran lunga superiore alla media degli altri episodi.

Parafrasando una famosa battuta proprio di Next Generation, parlando di questa seconda stagione qualcuno ha detto che “è possibile non commettere nessun errore e perdere lo stesso” intendendo che il giudizio sul prodotto non sia positivo; a mio giudizio invece di errori ne sono stati fatti alcuni ma il risultato è comunque positivo. Aver investigato, in modo oltretutto acuto e profondo, nella storia e nelle motivazioni di un cardine del mondo di Star Trek come Picard è stata scelta intelligente ed arricchente per una saga che forse ultimamente troppo stava concedendo alle storie in cui l’azione prende eccessivamente il sopravvento sulla componente psicologica.

Ma comunque se anche il mio giudizio fosse errato, scusatemi… “questa è una storia di perdòno”.

Recensione de Il candido Umberto

Star Trek: Picard seconda stagione      Amazon Prime

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