Un padre

Un mio omonimo, indiscutibilmente più bravo di me con le parole, una volta scrisse che si diventa “quel che nostro padre ci ha insegnato nei tempi morti, mentre non si preoccupava di educarci”.

In questi giorni, quasi ci fosse un sottile filo rosso che unisce vari momenti della vita mia e di chi mi sta accanto, molti pensieri sembrano ruotare attorno alla figura del padre – sia biologico in senso più stretto che morale in modo più figurato – e non mi pare un caso se mi ritrovo nuovamente a sfogliare il cartonato di Mister Miracle di Tom King e Mitch Gerads (pubblicato in volume unico da Panini comics per la collana DC Library) che quel genio del Flamio mi ha fatto scoprire.

La serie, vincitrice di quattro Eisner nel 2019, mi ha davvero lasciato a bocca aperta non solo per la profondità dei temi trattati – ed è noto quanto io adori una sceneggiatura intelligente ed articolata – ma anche per la realizzazione grafica spiazzante pur nella sua apparente semplicità.

Un fumetto decisamente adulto che, dietro la fumettisticamente banale storia dell’eterna guerra tra i mondi di Nuova Genesi ed Apokolips, nasconde un’analisi lucida ed a tratti spietata della vita stessa, del concetto di famiglia e del rapporto tra padri e figli.

Viene quasi da pensare che la vicenda narri di una normale vita condotta da due persone che per lavoro fanno la guerra e che si trovano ad avere introdotta nelle loro dinamiche, acquisite e stabili, la nuova variante rappresentata da un figlio – tema che già potrebbe sembrare interessante – ma in realtà l’argomento trattato è ben più ampio, sfaccettato e profondo e sembra riguardare la coscienza di sé e la trasmissione della propria persona nella discendenza genetica.

I protagonisti ci appaiono come persone ben consce di chi sono e di cosa rappresentano per gli altri. Sicuri e stabili all’apparenza, fanno ciò che reputano essere giusto anche a dispetto di quanto viene detto loro di diverso e perseguono ostinatamente i loro obiettivi. Ad uno sguardo più attento si vede come in realtà tutti i personaggi vivano lacerati da insicurezze e traumi irrisolti che li guidano molto più di quello che pensano, indirizzando inconsciamente ogni loro decisione ma proprio per questo risultando figure molto più luminose, umane ed interessanti agli occhi dei lettori che non faticano ad immedesimarsi in uomini in costante difficoltà con il mestiere di vivere e con le decisioni richieste dalla quotidianità.

E’ paradossale vedere come sia Scott che Barda siano persone forgiate intimamente dal proprio passato di infinito dolore; eppure, come ogni genitore, desiderano ardentemente che la vita di loro figlio sia priva di quegli ostacoli che nonostante tutto sono serviti a renderli le persone che sono, spingendoli a superare i propri limiti ed a vincere le proprie debolezze. Non è facile – per loro come per chiunque di noi – mantenere il giusto equilibrio tra il desiderio di protezione totale e la voglia di forgiare un carattere forte e deciso per il bambino lasciandogli affrontare tutte le sofferenze già patite da loro stessi; lungo tutta la storia questo concetto viene reso magistralmente dalla sceneggiatura di King che gestisce con maestria, acume e sublime ironia i pensieri e le decisioni dei due genitori e di tutti coloro che ruotano attorno al loro mondo.

Traspare nel racconto un forte legame di affetto e riconoscenza per i genitori che sono stati in grado di trasmetterci il loro amore in un modo naturale e spontaneo, in netto contrasto con quelli che invece sembrano essere padri (o madri) solo di nome, capaci esclusivamente di impartire insegnamenti con la forza e la coercizione, senza instaurare un rapporto di scambio affettivo e di crescita reciproca; un modo quasi di imporre una ingiustificata superiorità derivante solo dall’essere i creatori biologici di una nuova vita, un tentativo – dolorosamente errato – di dare un’immagine (la propria) al volto di Dio.

In questa ottica appaiono facilmente identificabili le figure di Darkseid e dell’Altopadre che, pur essendo padri biologici dei loro figli, non possono essere definiti veri genitori in conseguenza delle decisioni prese sulla crescita e sull’educazione della prole; il sacrificio di un figlio non può mai essere accettabile neanche di fronte ad un guadagno superiore per tutti… Scott e Barda non intendono sacrificare loro figlio ma solo farlo credere a Darkseid per poterlo eliminare. Ed il dialogo tra Scott ed il fantasma dell’Altopadre è altrettanto significativo di quanto il comportamento di un vero genitore debba essere diverso da quello che Scott ha dovuto subire da chi lo aveva messo al mondo sentendosi proprio per questo a lui infinitamente superiore e distante proprio come un dio… inarrivabile. Al contempo emergono figure apparentemente minori come quelle di Oberon che con poche frasi, sapientemente sparse lungo la narrazione da King, riescono a definirsi come veri punti di riferimento, genitori adottivi in un certo senso, per i protagonisti.

E’ da loro che giungono gli insegnamenti e gli aiuti fondamentali per la crescita umana dei personaggi e tra queste figure mi spingo a mettere anche Nonnina, cattiva ma senza realmente esserlo ed anzi forse unica figura in cui il comportamento crudele viene talvolta bilanciato dal fornire insegnamenti realmente utili ai ragazzi. E poi c’è Funky, personaggio palesemente ispirato a Stan Lee (e quanto è meravigliosamente folle e liberatorio vedere un tale cameo Marvel in un fumetto DC), che con la sua lucida follia fornisce la perfetta libertà di immaginazione e di crescita senza condizionamenti al piccolo Jacob: metafora evidente dell’importanza e del valore del fumetto come strumento di educazione e di cultura.

Inoltre gli equilibri di coppia narrati in queste pagine ci raccontano di un uomo insicuro ed in difficoltà con il suo quotidiano e di una donna forte e risoluta che riesce ad essere un riferimento salvifico per il suo compagno ed il modo in cui questi due mondi si incontrano e si fondono è proprio quello di lottare per il futuro della propria discendenza, ponendosi comunque come riferimenti estremamente positivi per i loro figli.

Tutta la storia è disseminata di citazioni e di rimandi al mondo dei fumetti DC e Marvel – dalle magliette a tema supereroistico di Scott all’adorato (da Jacob) pupazzo di Batman – ma tantissimi sono anche i richiami ad altre opere di letteratura ritenuta maggiore; tra tutti uno mi ha particolarmente colpito anche se in realtà potrebbe essere una mia immane forzatura: il discorso del volto di Dio che si sovrappone a quello del padre mi ha riportato alla memoria un capitolo di uno dei romanzi di Tiziano SclaviTre – e la sua riproposizione in un fumetto di Dylan Dog in cui si racconta appunto del sentimento di odio presente a livello quasi inconscio nei pensieri di un figlio appena nato nei confronti del padre che lo solleva in alto con il suo braccio, sì per mostrarlo al mondo ma anche per evidenziare la sua superiorità rispetto al piccolo. In effetti non ci sono molte possibilità che King abbia letto il nostro Tiziano ma innegabilmente le due narrazioni mi sono sembrate molto simili e certamente accomunate nel modo di avvicinare il tema della paternità e del rapporto tra padre e figlio.

Ed infine gustosissimo mi è parso il modo di raccontare la vicinanza della sua particolarissima famiglia al parto di Barda. La normalità, o forse sarebbe meglio dire l’umanità, delle dinamiche dei rapporti tra i vari protagonisti dell’evento ribaltata su personaggi così peculiari risulta essere tanto surreale quanto divertente pur lasciando trasparire il messaggio, forte e positivo, di gioia e felicità legato ad un momento comunque meraviglioso come quello della nascita di una nuova vita.

Passando a considerare l’aspetto grafico, Mitch Gerads ai disegni mantiene un livello altissimo, al pari della sceneggiatura dell’amico Tom. Lungo tutti i capitoli del volume vi è una naturalezza di linee ed una semplicità (apparente) di impostazione delle vignette che lascia a bocca aperta.

Niente tavole con esplosioni di immagini dinamiche o anatomie esasperate, solo nove semplici quadri che richiamano l’impostazione grafica dei fumetti classici e di capolavori più recenti quali Watchmen o V for Vendetta ma tutti permeati da un disegno di una naturalezza incredibile pur affrontando la descrizione di avvenimenti supereroistici ed iperbolici. Ogni vignetta sembra richiamare la descrizione televisiva di sit-com americane degli anni ottanta (richiamate spesso anche nella narrazione della storia) ed è proprio in questo modo che è ulteriormente enfatizzata la sensazione di normalità di ciò che viene rappresentato.

E poi, all’improvviso, ci sono delle scelte grafiche che hanno del geniale come la descrizione del viaggio di Barda e Scott per arrivare a Nuova Genesi oppure la pagina – che personalmente trovo essere una vera opera d’arte – in cui Mister Miracle sembra essere messo in croce; il tutto perfettamente inserito in uno sviluppo descrittivo dove ogni climax arriva quasi di sorpresa ma in verità ampiamente preparata, sia graficamente che narrativamente, dalle tavole precedenti.

Gerads si occupa anche della colorazione del fumetto rendendo questo aspetto parte integrante del disegno. Predominano tinte forti e ben definite, in perenne contrasto tra loro, tra primo piano e sfondo eppure sempre in grado di amalgamarsi alla perfezione senza rendere eccessive le differenze. Questo è anche merito di un utilizzo fenomenale della luce, sia intesa come luminosità del colore sia soprattutto come resa delle fonti di illuminazione di ogni vignetta. Ne derivano spesso immagini che rasentano l’onirico, capaci di fondersi in un’unica figura luminosa pur rimanendo singolarmente definite.

Alle tinte, volutamente e scontatamente, rosso sangue del mondo guerriero di Apokolips fanno da contraltare quelle gialle, verdi o blu della vita più ordinaria dei due eroi sulla terra ma in entrambi i mondi la scelta dei colori non sembra essere dovuta ad un suggerimento sullo stato d’animo dei protagonisti, quanto ad una più ampia considerazione sul senso generale degli eventi raccontati, a sottintendere quasi che non sia il mondo ad adattarsi ai sentimenti dei protagonisti ma invece proprio il contrario.

Riassumendo in poche righe questa cascata di frasi, si potrebbe concludere che chi ha avuto la fortuna ed il piacere di leggere il Mister Miracle di King e Gerads si è trovato tra le mani la storia, magnificamente raffigurata, di un uomo in crisi con sé stesso che all’improvviso viene salvato dal fatto di diventare genitore e tutto questo molto probabilmente grazie alla moglie che sotto sotto aveva già previsto tutto…

Anche in questo fumetto, come nella vita reale, sono le donne (madri, mogli, sorelle, figlie…) che dobbiamo ringraziare se riusciamo a non affondare…

Ah, un’ultima cosa… se potete, fatevi un poster con la vignetta delle impronte di Jack Kirby (il Re) sulla Walk of fame immaginaria della L.A. del fumetto: è pura verità.

  • DC Library: Mister Miracle di Tom King e Mitch Gerads Panini Comics

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